I Viaggi di Giovanni

L’Oltrepò tra modernità e 200 anni di storia

di Daniel Gutierrez 18/07/2022
L’Oltrepò tra modernità e 200 anni di storia L’Oltrepò tra modernità e 200 anni di storia

L’altra sera a Milano sono stato a cena da alcuni amici che mi avevano invitato per inaugurare la loro casa appena finita di ristrutturare. Normalmente mi piace essere l’incaricato di portare il vino, ma questa volta mi è stato chiesto di non farlo, in quanto volevano pensarci loro.

 

Chi si improvvisa a scegliere il vino per la prima volta potrebbe trovarsi in una di queste tre situazioni:

 

  1. L’enotecario che alla richiesta d’aiuto tira fuori l’asso nella manica, fiuta l’inesperienza e alzando le sopracciglia spara un “con questo non puoi proprio sbagliare”. Risultato: portafoglio vuoto e la classica bottiglia strapagata della linea più basica e commerciale di una grande azienda di vino o di una denominazione conosciuta.
  2. Dopo frenetiche ricerche su Vivino o Winesearcher sperando di non farsi sgamare da nessuno finisce per scegliere d’impulso la bottiglia più stravagante e colorata. Di solito recita in etichetta nomi altrettanto strambi come “100.000 lune” o “mani nella terra”, l’obiettivo è quello di sorprendere con una bottiglia che nessuno mai berrà una seconda volta.
  3. Davanti a scaffali interminabili di bottiglie tutte uguali cade nella trappola della grande distribuzione, il vino premiato 95 punti e scontato a 3,99€. L’affarone è palpabile nell’aria e con quel prezzo se ne possono prendere anche due di bottiglie, wow!

 

Il risultato è sempre che ti trovi davanti agli amici che con la bottiglia tra le mani ti chiedono “allora com’è questo vino?” - “Buono!”, mentre intorno a te stanno bevendo tutti calici di un Bolgheri rosso servito a 30 gradi, che nel giro di mezz’ora manderà in rovina la serata.

 

Gli elementi a cui guardano la maggior parte dei consumatori al giorno d’oggi sono proprio questi, un marchio famoso, una zona di vino conosciuta, una serie di punteggi alti o uno sconto conveniente. Non per dire che questo sia sbagliato, anzi, i grandi marchi danno fiducia ai consumatori, un punteggio alto riesce a indirizzare qualsiasi persona quando un vino non è conosciuto e zone vitivinicole o denominazioni famose dovrebbero garantire uno standard qualitativo nei confronti di chi si deve orientare a comprare il vino.

 

Questi parametri sono però veri solo per una piccola parte del vino italiano.

Se parliamo di territori senza denominazioni famose?

Se consideriamo vitigni sconosciuti dai più, magari anche buffi da sentire come la Tintilia o il Timorasso?

Se prendiamo in considerazione quelle migliaia di aziende che producono un mare di vino che nessuno conosce ne riconosce?

Se prendiamo bottiglie vendute sul rasoio del profitto, impossibili da scontare senza perderci?

Se valutiamo vini che che non sono e mai saranno sotto i radar dei grandi critici del vino?

Come poter promuovere e vendere questo tipo di vino in Italia e nel mondo?

 

Il punto è che la maggior parte delle aziende di vino si trovano a districarsi tra un consumatore a cui non interessa perché o come viene fatto un determinato vino e un produttore che vuole continuare a concentrarsi su elementi che interessano solo a una piccolissima parte: la storia, il terroir, la quantità di ceppi per ettaro, il sistema di vinificazione o i particolari metodi di allevamento della vite.

 

Non sto dicendo che nei confronti della massa bisogna dimenticare queste cose in favore di tecniche di marketing e mirabolanti strategie di promozione, ma credo che esista una via di mezzo che tiene in considerazione i bisogni dei diversi target di persone che bevono il vino. Anche perché se poi il vino non si vende, le aziende chiudono. It’s business.

 

Le zone e le aziende che ad oggi si possono vantare di essere conosciute, visitate e riconosciute dai consumatori che comprano i loro vini in tutto il mondo hanno o hanno avuto quasi tutte un cocktail vincente che dovrebbe essere esempio per tutti: un leader forte e carismatico, una tipologia di vino o una particolarità interessante da comunicare e una certa unione dei produttori nella promozione del loro prodotto. Nonostante questi tre elementi è comprovato che funzionino, tante, troppe zone del vino italiano potrebbero fare meglio.

 

Doria di Montalto Vigne

 

Un territorio che nonostante la sua bellezza e ricchezza fatica a sbloccarsi da questo punto di vista è l’Oltrepò Pavese. Se da una parte abbiamo un paesaggio incredibile con valli intervallate da un’interessantissima diversità di colture e vegetazione, dall’altra abbiamo una marea di vitigni coltivati ( nel passato arrivavano anche oltre le 200 varietà), 36 Denominazioni di Origine, 1400 viticoltori e un territorio difficile da ricordare, che un tempo era chiamato Vecchio Piemonte, ma che oggi è in una parte difficile da collocare della Lombardia, tra i colli tortonesi Piemontesi, il fiume Po, la Ligura, e i colli Piacentini dell’Emilia Romagna.

 

Inutile dire che questa situazione di confusione è un vero peccato per l’intero sistema vino italiano. La storia della viticoltura in Oltrepò Pavese va indietro di oltre 200 anni, rappresentando una delle tradizioni e eredità agronomiche e enologiche più importanti del nostro patrimonio vitivinicolo. Non a caso ci sono numerose aziende che vantano la produzione di vino anche da prima del 1800.

 

Abbiamo avuto modo di visitare terreni e strutture dei Doria di Montalto, un’azienda di origini genovesi che produce vino a Montalto Pavese dal 1800. Ci accoglie Andrea Doria, uno dei componenti della stupenda squadra alla guida dell’azienda (Andrea, Davide e Daniele), che ci racconta che negli ultimi anni ci sono state importanti collaborazioni con il centro universitario di Milano, Piacenza e Pavia tra le quali un importante studio di riscoperta del vitigno nebbiolo, chiamato in queste zone “Nibiò”. Andrea guida l’azienda in regime biologico da 23 anni, anche se il suo obiettivo principale, prima di qualsiasi certificazione, è di produrre vino a partire da una scelta agronomica dettata dall’ascolto della terra.

 

 

Il vino infatti è un prodotto dato da una elaborazione umana, che altrimenti non esisterebbe in natura, bisogna quindi essere in grado di saper ascoltare e interpretare la natura per poter raggiungere ogni anno l’obiettivo di produrre un grande vino.

 

Andiamo in sala degustazione e arriva anche Giulio Fiamberti, titolare dell’omonima azienda amica dei Doria, che nonostante la distanza (Fiamberti infatti si trova a Canneto Pavese) condivide anch'esso una lunga storia nella produzione del vino che risale al 1814. La degustazione diventa un momento di accesa discussione, non tanto sulla qualità e particolarità dei vini, su cui non si discute (sembra scontato ma non lo è) ma piuttosto su come rivalutare l’Oltrepò Pavese.

 

 

Questa fantastica zona, sembra trovare nella sua ricchezza e diversità sia il suo punto forte che il suo punto debole. Bisogna dirlo, in Oltrepò vengono fuori vini eccellenti in tutte le salse: spumanti, rossi, bianchi, dolci, frizzanti e non solo da un singolo vitigno ma da almeno una decina di questi, che non hanno niente da invidiare l’uno nei confronti degli altri. Mai delizia fu anche croce, in Oltrepò infatti non si riesce a trovare una vera identità che riesca a comprendere tutte queste diversità e a unificarle in un’unica marca, riconoscibile e valorizzabile in italia e nel mondo.

 

Questa diversità ha permesso a un territorio eccellente nel panorama del vino italiano di diventare famoso principalmente, e purtroppo quasi unicamente, per le grandi quantità e l’ottimo prezzo. Ci auguriamo che l’Oltrepò trovi quello che hanno trovato altre zone più fortunate, ma non per questo migliori, del vino italiano.

 

Prima di tutto una figura trainante, che questa sia un’azienda o un personaggio carismatico che voglia dedicare tutto se stesso alla causa spingendosi a fare decisioni forti volte a massimizzare il valore di questa zona. Così come ha fatto un Ziliani in Franciacorta, un Incisa della Rocchetta a Bolgheri o Donnafugata e Planeta per il vino Siciliano.

 

In secondo luogo comprendere che per andare un passo in avanti forse bisogna prima rinunciare a qualcosa. Qualche DOC o qualche vitigno tutelato in meno, per avere una gamma di vini più contenuta ma allo stesso tempo più chiara, facile da valorizzare e da promuovere nel mondo.

 

Infine un’identità o un sogno comune, che potrebbe essere quello di dare finalmente all’Oltrepò la visibilità e il prestigio che merita. Qualcosa che leghi tutti i produttori e gli permetta di spingersi sempre di più verso una produzione di qualità, al giusto prezzo, valorizzando il territorio e una tradizione secolare unica al mondo.

 

 

Se passate dall’Oltrepò pavese vi consigliamo di visitare e farvi raccontare il vero valore di questi luoghi da chi ogni giorno li vive e li racconta attraverso il vino, anche perché, come vedrete dalle bottiglie che vi consigliamo, si punta tutto sulla qualità e sulla tipicità territoriale:

 

Doria di Montalto

  • Metodo Classico “Milleottocento”: uno spumante da applausi. Dosaggio zero, Riesling Renano e 96 mesi sui lieviti. Se non sei incuriosito, abbiamo un problema.
  • Nebbiolo “AD Rosso”: un vino che non ti aspetti, estremamente tipico e varietale, ha un bellissimo frutto e eleganza da vendere, niente da invidiare ai suoi cugini Piemontesi. Annata in commercio attualmente, la 2016, e niente da aggiungere.
  • Riesling “Ronco Bianco”: Riesling da vigne vecchie oltre i 50 anni, abbiamo assaggiato anche in questo caso l’annata in commercio, la 2015. Sapido e dall’incredibile equilibrio ci ha sorpreso la sua complessità e freschezza.

 

Fiamberti

  • Buttafuoco “Sacca del Prete”: realizzato grazie alla conoscenza di 200 anni di viticoltura e prodotto con 4 vitigni, ognuno coltivato in zone con terreni e altitudini diverse, per dare al vino il massimo della complessità e longevità possibile. Vinificazione molto ricercata con lunga macerazione danno a questo vino potenza e allo stesso tempo un’eleganza difficile da dimenticare.
  • Bonarda “La Briccona": Croatina in purezza, chiamata nel luogo Bonarda, ha un sorso veramente divertente e piacevole nonostante i tannini decisi e l’avvolgente morbidezza. Frizzante e beverino si beve che è un piacere bicchiere dopo bicchiere.
  • Buttafuoco “Vigna Solenga”: Straordinario vino rosso che si può vantare del marchio Club del Buttafuoco Storico. Con notevole eleganza, riempie il palato e con una sontuosa armonia di bocca lo mantiene a lungo.