Articoli del Sommelier Valerio Sisti

Livio Felluga e il suo "Terre Alte"

di Valerio Sisti 05/11/2017
Livio Felluga e il suo "Terre Alte" Livio Felluga e il suo "Terre Alte"

Parliamo di un grande vino. Cosa fa di un buon vino un grande vino? Tanti fattori probabilmente e il loro combinarsi insieme coerentemente. Prendiamo un esempio che fa al caso nostro: Terre Alte di Livio Felluga. Stiamo parlando di uno dei bianchi simbolo d’Italia, un vino bianco di struttura, di corpo, longevo e complesso.
Questa perla dell’enologia tricolore nasce nel 1981, quando tutti o quasi i vini bianchi erano scarichi, scarni e beverini. L’azienda Livio Felluga sceglie le vigne poste nelle Terre Alte di Randazzo, nel Friuli orientale e, in quelle terre, seleziona Friulano, allora TocaiPinot BiancoSauvignon. Un blend di uve perfette per combinarsi insieme: la struttura del Friulano, con la sua capacità di invecchiamento, la freschezza del Pinot Bianco con la sua nota floreale e fruttata così intensa, oltre al Sauvignon che regala la nota verde, la sua tipica freschezza e inconfondibile aromaticità.
Per i curiosi possiamo aggiungere che il Sauvignon e il Pinot bianco passano tutta la loro vita in acciaio, mentre il Tocai oggi Friulano, vede prima una fermentazione in legno e poi una breve maturazione sempre in legno. Dopo il blend tra le uve, vetro per qualche mese e poi via a deliziare i palati di tutto il mondo.
Tutto questo però non basta a rispondere alla domanda iniziale. Serve infatti ben altro a rendere un ottimo vino un vino simbolo, quale il Terre Alte di Livio Felluga a tutti gli effetti è.

Serve anche un nome, Felluga appunto, ovvero una cantina che gode di ottima stima e reputazione, serve anche un territorio oltre che adatto anche evocativo, Rosazzo in questo è perfetto. Ricordo bene la prima volta che ci arrivai in automobile, ero poco più che ragazzo e di vino capivo giusto qualcosa, ma ricordo bene la sensazione che provai e l’idea che mi feci: mi aspettavo una distesa di vigne, perché immaginavo il Friuli come grande regione produttrice e pertanto mi aspettavo praterie di uva, invece trovai un paesaggio che ricordava più una serie continua di piccoli giardini, con le viti ad intervallarsi al bosco e con la cura che ogni appassionato mette nel tenere il proprio orticello.
Un’azienda solida e conosciuta, un vino buono se non eccezionale e un territorio nobile. Tutto questo basta? Direi di sì, certamente le condizioni per far bene ci sono tutte, ma forse la più importante è un’altra, cioè quella di precorrere i tempi o almeno le mode, cioè di fare un vino che non segue la scia di tutta la produzione conforme ai dettami stilistici del momento, ma che vi si pone quasi in antitesi e se non è proprio in netta opposizione quantomeno sceglie di seguire una strada sua, personale. Ecco, così credo si riesca a fare di un gran bel vino un vino simbolo

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