Curiosità sul vino

I Vini dolci. Qualche curiosità

di Daniel Gutierrez 03/04/2017
I Vini dolci. Qualche curiosità I Vini dolci. Qualche curiosità

Tra tutti i vini speciali, il vino dolce è l’unico la cui origine si perde letteralmente nella notte dei tempi, e si può persino supporre che proprio le prime fermentazioni spontanee, avvenute nel bacino caucasico circa novemila anni fa abbiano dato vita a un vino dolce. Eppure, non esiste “il” vino dolce, ne esistono un’infinità di tipologie, consolidatesi nel corso dei secoli in base a vitigni, zone climatiche, tradizioni e sbocchi commerciali differenti. Oggi, in Italia esistono addirittura numerosissime denominazioni che hanno inserito fra le tipologie della Doc anche vini dolci, non per naturale propensione del territorio ma per soddisfare le richieste del mercato. 

Ma come si producono oggi i più famosi vini dolci? La questione è piuttosto semplice: si tratta di avere un mosto talmente ricco di zucchero da fare in modo che, a fermentazione alcolica ultimata, ci sia un residuo zuccherino molto evidente e il vino risulti quindi dolce. Si possono raggiungere tali risultati con grande facilità se si ritarda la raccolta delle uve o, ancora più semplicemente, vinificando l’uva raccolta solo dopo un periodo di appassimento, che può durare da qualche settimana a diversi mesi.

I Vini passiti

Tecnicamente si parla di appassimento quando le uve vengono pigiate dopo almeno un mese dal momento di maturazione ottimale; durante questo periodo possono restare semplicemente appese al tralcio, oppure, pur rimanendo in Vigna, avere il picciolo torto per bloccare l’afflusso della linfa, o addirittura essere recise dal tralcio stesso. È intuibile come questa scelta debba fare i conti con il clima della zona e con la consistenza della buccia. Appena qualcosa non va per il verso giusto, i rischi di perdere la produzione per insorgenza di muffe sono molto alti. E assai più frequente che le uve vengano raccolte e poste ad appassire all’aperto, come avviene nelle isole del Sud Italia, o all’interno di locali ben aerati, dove sono sistemate con i metodi più vari, dalle cassettine in plastica a quelle in legno, dai graticci alle reti, con l’unico obiettivo di permettere un buon appassimento senza l’insorgere di muffe. Durante questo periodo gli acini perdono per evaporazione parte dell’acqua che compone la polpa, si assiste alla demolizione del patrimonio acido e gli aromi si trasformano, passando da sensazioni di fiori e frutta fresca a fiori appassiti e frutta candita o secca. Dopo la pigiatura si assiste a una fermentazione alcolica molto lenta, sia per la grande quantità di zucchero presente, sia per la temperatura piuttosto bassa delle cantine.

L’affinamento avviene spesso in legno, ma molte zone preferiscono mantenere l’originalità degli aromi sfruttando unicamente l’acciaio. La resa di uva in vino passa dal 70% circa di un vino secco al 30% di un buon passito, determinando un notevole incremento del prezzo, che può aumentare anche per le notevoli difficoltà produttive, i rischi connessi alla pratica dell’appassimento e la lunghezza dell’affinamento che precede l’immissione sul mercato.

Per prestarsi bene all’appassimento, le uve devono avere buccia spessa e coriacea, e i grappoli devono essere scelti fra i più spargoli (a chicchi radi), in modo da garantire un buon arieggiamento di ogni singolo acino.
Tra le zone con maggiore vocazione per questa tipologia vanno sicuramente rammentate le isole dell’Italia meridionale (Sicilia, Pantelleria, Salina…), che spesso utilizzano l’uva zibibbo (moscato d’Alessandria), ma anche tante zone del Nord: Soave e Valpolicella in Veneto, Roero e Loazzolo in Piemonte, l’Alto Adige e le Cinque Terre in Liguria, per citare solo le più note.
Un discorso a parte meritano i diversi esempi di vino santo prodotti in Italia (Toscana, Trentino, Colli Piacentini) che, al di là delle differenti uve e tradizioni, basano la produzione sul processo dell’ossidazione. I vini vengono posti ad affinare in piccoli contenitori di rovere (barrique e caratelli) che non vengono mai colmati, consentendo lo sviluppo di una lenta ossidazione.

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