Articoli del Sommelier Valerio Sisti

Montalcino: quando il vino fa economia

di Valerio Sisti 02/01/2017
Montalcino: quando il vino fa economia Montalcino: quando il vino fa economia

Uno dei rossi di riferimento in Italia non ha una storia poi tanto lunga. In Toscana si fa vino da prima dell’impero romano, questo si! Il Chianti classico, ad esempio, ha festeggiato nel 2016 i trecento anni dalla prima delimitazione della zona di produzione; il Sangiovese a Montepulciano dava origine al vino dei nobili. Tutto questo è vero, però il Brunello non è così antico come si possa credere, almeno il Brunello che conosciamo oggi.
Tuttavia, il vino prodotto nel Comune del basso senese, ha un’importanza decisamente più ampia del semplice contenuto delle bottiglie. Negli anni settanta l’area era depressa e l’importanza del vino, nel senso economico del termine, risollevò le sorti delle finanze locali. Col passare degli anni e con il crescere del mito, il turismo a Montalcino, che è un comune pittoresco ma che ha anche una notevole concorrenza nei dintorni, è cresciuto contribuendo anch’esso a fare economia.
Non ultimo il prezzo raggiunto dalle bottiglie, che per alcune in particolare, è notevole.

Anche in quest’ottica, va letta le recente notizia della vendita della storica azienda Biondi Santi ad un importante gruppo francese dello Champagne. Non è una prima assoluta. Molti vigneti di Toscana parlano inglese, sponda occidentale dell’Atlantico per la precisione, però il nome dell’azienda coinvolta questa volta è di quelli che fanno notizia e qualche riflessione nasce spontanea.
- Riflessione numero uno: il vino italiano piace e attira investimenti. Questo fa piacere, dato che le vigne non possono essere spostate altrove, ogni euro o dollaro o rublo che arriva in Italia qui rimane. Più o meno.
- Riflessione numero due: produrre vino in Italia è complicato, le aziende di dimensioni sufficienti per affrontare un mercato internazionale sono ben poche; la maggioranza del tessuto produttivo nostrano è composto da piccole aziende a conduzione familiare, con al massimo uno o due collaboratori fissi, o addirittura saltuari. A questa fotografia della produzione tricolore, aggiungete che non tutti i consorzi di tutela sanno operare al meglio per la promozione del vino in Italia e all’estero.
- Riflessione numero tre, che è il rovescio della medaglia della prima: arrivano investimenti e quindi contante che rimane nel Belpaese, le decisioni che contano però possono essere prese fuori dall’Italia e non necessariamente con in testa gli interessi locali.
Non è una valutazione specifica del caso di Biondi Santi, dove peraltro la famiglia ha comunicato di rimanere comunque al timone dell’azienda. Sono considerazioni generali, per di più fatte da un sommelier e non certo da un professore di Harvard, pertanto prendetele così e, mentre ci ragionate, vi consiglio un buon bicchiere di una delle seguenti cantine: Cantina di Montalcino, Folonari, San Polo Montalcino, Banfi, Ciacci Piccolomini d’Aragona, Il Poggione, Col d’Orcia, Pieve Santa Restituta, Antinori