Articoli del Sommelier Valerio Sisti

Il caso Gaja e quanto vale una DOP (o DOCG)

di Valerio Sisti 18/08/2016
Il caso Gaja e quanto vale una DOP (o DOCG) Il caso Gaja e quanto vale una DOP (o DOCG)

E’ notizia ancora fresca che l’Azienda Gaja tornerà ad etichettare "Barbaresco" i suoi vini di punta. I “Sorì” tanto famosi e blasonati, dalla vendemmia 2013 vedranno, accanto alle menzioni geografiche Costa Russi, Sorì Tildin e Sorì San Lorenzo, la dicitura Barbaresco DOP. "Gaja returns to Barbaresco" ha titolato Wine Spectator giorni fa.
Bisogna ammetterlo, è una notizia con la “N” maiuscola. I più hanno ridacchiato sotto i baffi, dicendo che Angelo Gaja ammette l’errore di tanti anni fa. Qualcuno ho voluto vedere questo gesto come la prima, grande innovazione, della primogenita di Angelo Gaja alla guida dell'azienda. Tutto vero o tutto falso poco importa, la notizia è bella e fa solo piacere apprenderla, da oggi un grande vino sarà di nuovo associato ad una grande denominazione.
Per i pochi che non lo sanno, e che fin qui non hanno inteso la portata della notizia, Angelo Gaja non è un produttore del Barbaresco, Angelo Gaja è “il” produttore di Barbaresco. Senza nulla togliere a nessuno, tra i quasi duecento produttori di Barbaresco ce ne sono moltissimi con vini di elevata qualità, Angelo Gaja ha però sempre avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’area. Già nel 1961 fece storia, con la scelta di non produrre più Barolo, ma solo Barbaresco, con l’evidente conseguenza di orientare su quest’ultimo tutti i riflettori propri dell’azienda e tutti quelli (molti), che l’azienda richiamava.
Una bella notizia dunque, che ci permette una divagazione a riguardo DOP, DOC, DOCG, etc.

Le Langhe, credo di averlo già scritto, sono state il primo territorio italiano a vedere riconosciuto ufficialmente il pregio dei propri vini. Barbaresco e Barolo, non da soli per la verità, sono stati le prime DOC italiane già nel 1966, convertite DOCG nel 1980, sempre primi in Italia, ma già interessati da progetti di legge volti a tutelarne l’originalità, nel lontano 1906 e poi 1933. Più di un secolo di storia, durante il quale il legislatore ha cercato di codificare e tutelare la qualità e l’originalità.
Una sana riflessione deve partire proprio da qui: originale e buono. Non sono due caratteristiche intrinseche, non sono legate indissolubilmente. Se infatti l’originalità prevede, nel caso del vino, la provenienza da un territorio e il rispetto di determinate norme di produzione, il buono non deriva necessariamente da queste, non ne è una conseguenza inevitabile. In sostanza stiamo dicendo che un vino autentico potrebbe anche non essere buono.
Va bene così, non potrebbe essere diversamente e, difatti, le normative vigenti ci garantiscono l’originalità del prodotto, intesa come suo legame autentico con il territorio, non con una generica bontà.
Alla luce di tutto ciò, è ancora più bella la notizia che l’Azienda Gaja ci comunica, perché un grande vino, un vino buono, si ricongiunge ad una denominazione di grande prestigio, il buono e l’autentico sono di nuovo uniti. Evviva